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“Questa città non è tua”: il turismo che caccia i residenti

Luca Benassi

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Pubblicato il 18/06/2025

Blog🛶🎭 Venezia non è un parco a tema

Negli ultimi anni il turismo è diventato uno tsunami. Non una brezza che porta culture a mescolarsi, ma un’onda che travolge, consuma e scappa via. Venezia ne è il simbolo perfetto: oggi è una città-cartolina con meno residenti che gondole, dove ogni calle ha un negozio di vetro “made in China” e ogni giorno sbarcano migliaia di turisti in cerca del solito scatto da postare.

È giusto parlare di overtourism, ma dovremmo anche dire la parola che tutti evitano: gentrificazione. Perché la città che accoglie il turista è la stessa che respinge chi vorrebbe viverci davvero. A Roma, ad esempio, gli affitti del centro sono fuori scala, i mini market spariscono, rimpiazzati da bistrot vegani e cocktail bar da 14 euro.

Il turista consuma. Il residente si sposta. La città resta, ma non è più per chi ci vive.

💍 Il matrimonio di Bezos? Non ancora celebrato, ma già surreale

Tra pochi giorni Jeff Bezos e Lauren Sánchez si sposeranno proprio a Venezia. I dettagli sono ancora riservati, ma già si parla di blindatura della città, sicurezza speciale, aree vietate ai residenti, e un via vai di yacht miliardari e celebrità. La città sarà di nuovo affittata, almeno simbolicamente, per un evento privato che di pubblico ha solo la scenografia.

E intanto, sui social, scoppiano le polemiche: “È giusto che una città patrimonio UNESCO venga trasformata in un red carpet?”, “Dov’erano tutte queste attenzioni quando l’acqua alta ha sommerso le case dei veneziani?”

 

🧳 Non solo Venezia: le città trasformate in vetrine

 

Anche Roma non fa eccezione. Nel centro storico gli affitti sono ormai fuori portata, i mini market e le botteghe sono stati rimpiazzati da locali “instagrammabili” e catene internazionali. Trastevere è diventata una food court all’aperto, Campo de’ Fiori una discoteca a cielo aperto. I romani? Scivolati verso le periferie, mentre il cuore della città si affitta a ore, come una location.

A Firenze, i residenti del centro sono quasi scomparsi. I vicoli dove una volta si sentiva il rumore dei laboratori artigiani ora ospitano wine bar e hotel boutique. L’università combatte con l’esodo degli studenti, costretti a vivere lontano dal centro per i costi insostenibili.

A Barcellona, la tensione è già esplosa più volte: murales e adesivi “Tourist go home” tappezzano le vie del Raval e di Gràcia. I quartieri popolari si sono svuotati, occupati da co-living, short rent e nomadi digitali. Ogni estate la città si trasforma in un palcoscenico turistico, tra proteste e polemiche.

A Lisbona, il boom degli affitti a breve termine ha creato un’emergenza abitativa. Il governo ha perfino sospeso temporaneamente le nuove licenze Airbnb. Nel frattempo, Alfama e Bairro Alto sono diventati showroom permanenti, dove la vita quotidiana è rimpiazzata da quella da cartolina.

E a Città del Messico, la nuova ondata di expat ha fatto lievitare i prezzi degli immobili, soprattutto nei quartieri centrali. Le famiglie locali faticano a trovare casa, mentre i caffè con WiFi e brunch servono una nuova classe globale, che abita ovunque ma appartiene a nessun luogo.

🏝️ E poi c’è Porto Rico…

Lì, l'invasione è silenziosa ma profonda. Investitori americani stanno comprando case, approfittando delle esenzioni fiscali, creando comunità chiuse dove i residenti locali non riescono più a vivere. I blackout colpiscono chi è nato sull'isola, non chi ci arriva col visto e il conto offshore. È un overtourism fatto di capitali, non di trolley.

Il meccanismo è lo stesso: un luogo si svuota di senso, mentre si riempie di soldi.

😤 Ma quindi, è colpa del turista?

È troppo facile puntare il dito su chi viaggia. Il problema non è il viaggiare, ma come raccontiamo e vendiamo le città. Se riduciamo tutto a una foto, una promo da 3 notti con colazione e un gelato in piazza San Marco, è ovvio che il risultato sarà una Disneyland con i sampietrini.

 

Il turismo può essere bellissimo. Può far bene. Può creare connessioni, scambi, memoria.
Ma solo se le città restano vive anche dopo che il turista se ne va.
Solo se il racconto che ne facciamo non è quello di un luna park da svuotare e rifare ogni settimana.

Non dobbiamo cercare di fermare i viaggi, ma cambiare messaggio: smettere di trattare i luoghi come prodotti, e tornare a considerarli per ciò che sono — mondi abitati, fragili, e unici.

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